Giu 24, 2010
Piani Inclinati – Puntata del 20 Giugno 2010
Piani Inclinati – ovvero le obliquità e le inclinazioni nell’uso e nella distorsione sonora del piano acustico. Strumento oggettivato e reso fonte sonora anomala. Contro le Accademie e il conservatorismo musicale passatista e non. Frammenti di Avanguardie sonore nell’utilizzazione dei piani acustici.
Clicca su ‘continua’ per scaricare l’MP3 o ascoltare le registrazioni della trasmissione. Inoltre troverete anche due articoli sul tema oggetto della trasmissione. Buon ascolto.
Prima parte (scarica l’MP3)
Seconda parte (scarica l’MP3)
Selezione della trasmissione – artisti e dischi da cui sono tratti i pezzi:
Yuji Takahashi da “Finger Light” 1996
Noto/Sakamoto with Ensemble Modern da “UTP” 2008
ES da “Sateenkaarisudelma” 2008
Francesco Lovisoni e Roberto Messina da “Prati Bagnati del Monte Analogo” 1978
Erik Satie da “Piano Music Vol 2” (2002) – Danses Gothiques – opera del 1893
Juan Hidalgo da “Tamaran” 1974
J.L. Fafchamps, L. Cornez, K. De Windt, S. Ginsburgh, J.L. Plouvier da “Attrition” 1993
The Necks da “Silver Water” 2009
Chicago Underground Trio da “Boca Negra” 2010
Erik Satie “Elogio dei critici” da Quaderni di un Mammifero ed. Adelphi 1980
Non è il caso che mi ha spinto a scegliere quest’argomento. E’ la riconoscenza, giacché io sono tanto riconoscente quanto riconoscibile.
L’anno scorso, ho fatto numerose conferenze su «L’Intelligenza e la Musicalità degli Animali».
Oggi vì parlerò de «L’Intelligenza e la Musicalità dei Critici». E’ quasi lo stesso tema, con qualche variante, si capisce.
Alcuni miei amici mi hanno fatto notare che era un soggetto ingrato. Perché ingrato? Non vi è traccia di ingratitudine; almeno io non ce la vedo: farò dunque tranquillamente l’elogio dei critici.
Non si conoscono abbastanza, i critici; si ignora quel che han fatto, quel che son capaci di fare. In poche parole, sono misconosciuti quanto gli animali, benché, come questi ultimi, abbiano la loro utilità. Sì.
Essi non sono soltanto i creatori dell’Arte critica, somma tra tutte le arti, ma sono anche i più grandi pensatori del mondo, i liberi pensatori mondani, per così dire.
Del resto, è un critico che ha posato per il «Pensatore» di Rodin. Me l’ha detto un critico, quindici
giorni fa, o tre settimane fa, al massimo. E questo mi ha fatto piacere, molto piacere. Rodin aveva un debole per i critici, un gran debole…
I loro consigli gli erano cari, molto cari, troppo cari, inabbordabili.
Ci sono tre specie di critici: quelli che contano; quelli che contano meno; quelli che non contano affatto. Queste due ultime specie sono introvabili: critici senza importanza non ce ne sono….
Fisicamente, il critico ha un aspetto grave, sul tipo del controfagotto. E’ lui stesso un centro, un centro di gravità. Quando ride, ride con un occhio solo, a volte di buonocchio, altre volte di malocchio. Sempre galante con le signore, tiene gli uomini a distanza, senza sforzo. In altre parole, incute soggezione mallgrado il suo aspetto attraente. E’ una persona seria, seria come un Buddha, come un budino. La mediocrità, l’incompetenza non hanno corso tra i critici. Un critico mediocre, o incompetente, sarebbe lo zimbello dei suoi colleghi: gli sarebbe impossibile esercitare la sua professione, il suo sacerdozio, voglio dire, perché sarebbe costretto a lasciare il suo paese, anche natio, e tutte le porte gli sarebbero sbarrate; la vita diventerebbe per lui un lungo supplizio, orribilmente monotono.
L’Artista, in definitiva, è solo un sognatore; il critico invece ha una coscienza della realtà, e la sua coscienza personale in più. Un artista si può imitare; il critico, invece,è inimitabile e impagabile. Come si fa ad imitare un critico? C’è da chiederselo. Del resto, l’interesse di una simile operazione sarebbe scarso, molto scarso. Abbiamo l’originale, ci basta. Colui che ha detto che criticare è facile non ha detto niente di peregrino. Si dovrebbe vergognare, anzi, di averlo detto: bisognerebbe sporgergli querela, sporgerla di un paio di metri, almeno.
Chi ha osato scrivere una cosa simile, la rimpiangerà un giorno? E’ probabile, è auspicabile, è certo.
Il cervello di un critico è una specie di magazzino, di grandi magazzini.
Vi si trova di tutto: ortopedia, scienze, biancheria da casa, arte, coperte da viaggio, gran scelta di mobilio, carta da lettere francese e straniera, articoli per fumatori, guanti, ombrelli, indumenti di lana, cappelli, sport, canne, ottica, profumeria, eccetera. Il critico sa tutto, vede tutto, dice tutto, capisce tutto, si occupa di tutto, sposta tutto, mangia di tutto, confonde tutto, ma questo non significa che non lo pensi. Che uomo!! Bisogna dirlo in giro!! Tutti i nostri articoli sono garantiti!! Nei mesi caldi, la mercanzia è all’interno!! All’interno del critico!! Osservate bene!! Esaminate accuratamente, ma non toccatel! E’ unico. Incredibile.
Il critico è anche una vedetta, o magari una boa. Segnala gli scogli che costeggiano lo Spirito Umano. Nelle vicinanze di queste coste, di queste costole spurie, il critico sta all’erta, in tutto lo splendore della sua chiaroveggenza da lontano; ha magari l’aria di una barriera, ma di una barriera simpatica, intelligente.
Come è giunto a questa posizione elevata, a questa posizione di boa, di barriera?
Grazie ai suoi meriti, ai suoi meriti agricoli e personali. Dico «agricoli» perché egli coltiva l’amore del Giusto e del Bello. Qui tocchiamo un tasto delicato. I critici infatti sono reclutati in base a una selezione, come tutti i prodotti di prima scelta, extra, di qualità superiore.
Sta al Direttore di un giornale, di una rivista o di un qualsivoglia periodico, scovare il critico adatto a completare utilmente la sua redazione. Nessuna raccomandazione avrà effetto. Il Direttore scopre il critico in base a un severo esame di coscienza. E’ un esame molto lungo e penoso sia per il critico sia per il Direttore. Il primo si informa; il secondo sta in guardia.
E’ una lotta angosciosa, piena di imprevisti. Ogni astuzia possibile è messa in opera da ambo le parti. Alla fine il Direttore è battuto. Perlomeno così avviene quando il critico è di buona razza, e ha curato bene il suo allenamento. Il Direttore è ingerito, digerito dal critico.
E’ raro che il Direttore la scampi.
Il vero senso critico non consiste nel criticare se stessi, ma nel criticare gli altri e la trave che si ha nell’occhio non impedisce minimamente di scorgere la pagliuzza che sta in quello del vicino: in questo caso, la trave diventa un cannocchiale, che ingrandisce la pagliuzza in modo smisurato.
Non si ammirerà mai abbastanza il coraggio del primo critico che si presentò sulla terra. E’ più che probabile che gli zotici abitanti della Vecchia Notte primitiva lo abbiano accolto a suon di zoccolate nella pancia, senza rendersi conto di avere a che fare con un precursore degno di venerazione. A suo modo, quel critico fu un eroe.
Il secondo, terzo, quarto e quinto critico non furono certo accolti meglio,… ma aiutarono a creare un precedente: l’Arte critica stava dando alla luce se stessa. Fu il suo primo capodanno. Molto tempo dopo, questi Benefattori dell’Umanità appresero a organizzarsi meglio e fondarono dei sindacati di critici in tutte le grandi capitali. I critici divennero così dei personaggi influenti, il che dimostra che la virtù è sempre ricompensata. Da quel momento in poi, gli artisti furono imbrigliati, tenuti a bada come gatti selvatici. E’ giusto che gli Artisti siano guidati dai critici. Non ho mai capito la suscettibilità degli Artisti di fronte agli ammonimenti dei critici. Credo si tratti di orgoglio, un orgoglio fuori luogo, indisponente. Gli artisti ci guadagnerebbero a venerare i critici, ad ascoltarli rispettosamente; ad amarli, perfino; a invitarli sovente al desco familiare, tra lo zio e il nonno. Seguano il mio esempio, il mio buon esempio: la presenza di un critico mi abbaglia, la luce che diffonde è tale che sbatto le palpebre per più di un’ora; bacio le orme delle sue pantofole: bevo le sue parole in un gran calice, per educazione.
Ho studiato a lungo gli usi e costumi degli animali. Ahi me’! Essi non hanno critici. Quest’Arte gli è estranea; io, perlomeno, non ho mai trovato nessuna opera del genere negli archivi dei miei animali. Può darsi che i miei amici critici ne conoscano una, o diverse. In questo caso, siano tanto gentili da dirmelo, prima lo faranno e meglio sarà. Sì.
Gli animali non hanno critici. Il lupo non critica l’agnello: lo mangia; non perché disprezzi l’arte dell’agnello, ma perché ammira le carni e perfino le ossa del villoso animale, così buono, così buono al ragù.
Noi abbiamo bisogno di una disciplina di ferro, o di qualsiasi altro metallo. Solo i critici sono in grado di imporla, di farla rispettare, da lontano. Essi vogliono solo inculcarci l’eccellente principio dell’obbedienza. Infelice chi disobbedisce, non obbedire è ben triste. Ma non bisogna obbedire alle proprie inique passioni, nemmeno se ce lo ordinassero loro stesse. Come si fa a capire che una passione è iniqua? Come?
Lo si capisce dal gusto che si prova ad abbandonarvisi, e per il fatto che è disapprovata dai critici.
Essi non hanno passioni inique. E come potrebbero averne, queste brave persone? Non hanno nessuna passione, proprio nessuna. Sempre calmi, pensano solo al loro dovere, ossia a correggere i difetti dei poveracci e a ricavarne una rendita sufficiente per comprarsi un po’ di tabacco, tutto qui.
E’ questa la loro missione, la missione che incombe a questi dispensatori di buoni consigli: giacché ne hanno mille per uno, di consigli, di consigli provinciali.
Ringraziamoli di tutti i sacrifici che fanno quotidianamente per il nostro bene, solo per il nostro bene; chiediamo alla divina Provvidenza di proteggerli contro le malattie di ogni sorta, di tenerli lontani da fastidi di ogni genere; di concedergli un gran numero di figli di ogni specie, che possano continuare la loro. Questo augurio non può fargli nè bene nè male. In ogni caso, se ne faranno un baffo… per scrivere.
Erik Satie (da “Quaderno di un mammifero”, Biblioteca Adelphi 97, 1980)
L’innovazione musicale nel minimalismo– i Piani Inclinati
Per tutto l’Ottocento musicale impera il Romanticismo e tutte le sue teorie. Gli strumenti musicali rispettano il sistema di accordatura chiamato temperato equabile, che si basa sulla costruzione di una scala tonica, cioè fatta da toni e semitoni che in tutto arrivano a 12 costituendo un ottava. Vi è sempre una sorta di gerarchia tra le note musicali e non si sente il bisogno di esplorare nuovi orizzonti: il sistema ben temperato era stato il riferimento musicale del passato (circa 300 anni, ma continuerà ad esserlo anche dopo l’Ottocento). Tutte le convenzioni musicali si basano su questo sistema, che tuttavia non costituisce l’ordine naturale dei suoni. Alcuni musicisti, grazie alle misurazioni delle frequenze dei suoni rese possibili da nuovi macchinari di rilevazione e al fervore con cui affrontano questo problema, cominciano ad avere visuali diverse: si fa largo l’idea che gli strumenti possano essere esplorati: per es. per dirla alla Charles Ives, sarebbe necessario fisicamente inserirsi tra gli spazi dei tasti del pianoforte e vedere se è possibile ottenere nuove scale e nuovi suoni. La questione non è limitata solo alle possibilità offerte dalla tecnica, cioè la possibilità di comporre usando centesimi di tono, ma si rivolge anche agli strumenti, poichè la stratificazione del suono e la sua misurazione fece scoprire che lo stesso aveva degli effetti armonici non distinguibili benissimo all’orecchio umano ma chiarissimi alla rilevazione dello strumento che li misurava. Di qui il cosiddetto dibattito sull’utilizzo dei sovratoni che seguiva di pari passo quello riguardante i toni e i semitoni. (sempre Ives, pur aderendo alla teoria, usò i quarti di tono solo in alcune composizioni)
Elliott Carter a fine Ottocento, criticava questa impostazione, perchè non riusciva a dare importanza ai sovratoni, riteneva che non fossero necessari per la struttura musicale. Di contro, all’inizio del Novecento Harry Partch invece costruiva strumenti appositi per accogliere queste modifiche. (paragonava il suono ad un foglio di carta ove le note non erano altre che macchie di inchiostro e quindi parte di un sistema tutto da esplorare). Partch spese tutta la sua vita a lavorare sulla microtonalità, spesso in condizioni di vita veramente disagiate, con strumenti accordati in diverse regolazioni (limiti) di just intonation. Grazie ai contributi di due artisti messicani: Novaro e Carrillo, e a Ferruccio Busoni che portò alla ribalta degli armonium costruiti appositamente con ottave a 36 suoni, che si potè cominciare a parlare di scala diatonica e di processi armonici, nonchè di temperamento non più equabile, ma naturale.
Ed è qui che si inseriscono i primi minimalisti negli anni sessanta (siamo nel novecento): i minimalisti rivendicavano un ordine naturale dei suoni che era stato prerogativa dei popoli antichi della Terra, ribadendo le relazioni matematiche tra i suoni e conferendo indirettamente un sapore mistico al movimento: varie popolazione indigene della Terra, nonchè tutta la disciplina Orientale non aveva nulla a che fare con il sistema ben temperato e le sue convenzioni: durante il novecento, quindi si cercò di sviluppare la microtonalità (terzi di tono, quarti di tono, ecc.) e la just intonation, cosiddetta giusta intonazione o naturale intonazione.
Kyle Gann, noto professore e lui stesso musicista minimalista, in un suo articolo ha spiegato i tratti tipici del movimento. I minimalisti si distinguono per alcune caratteristiche comuni: si muovono con una nota o poche note e utilizzano una corda o pochissime corde, usano la ripetizione, lavorano con un pattern di processi che viene integrato al massimo due volte nel brano, alcuni usano il drone. Il movimento si pone come reale alternativa al serialismo e a tutti i suoi sviluppi: come afferma Piero Scaruffi a proposito del brano di Terry Riley “In C” ….giunge all’improvviso, inaspettata, figlia di quelle ricerche sui “ritardi via nastro”, mentre i conservatori progettano sinfonie dissonanti o sonate elettroniche…Non è abbastanza radicale da appartenere al dadaismo “cageano” e non è abbastanza “seria” da rientrare nell’espressionismo darmadtstiano…..
Quindi primo vero elemento innovatore è l’uso della ripetizione: in tal senso, Terry Riley mise in musica la suite “In C”, dove la lettera sta per il do musicale che si “ripete” per tutto il brano; costruisce poi 53 partiture per strumento che vengono man mano inserite. Philip Glass in maniera ciclica ripropone le sue armonie statiche in parecchie opere della gioventù (“Music in changing parts”, “Music in Twelve Parts”). David Borden compie un passo ulteriore nello sviluppo della corrente musicale introducendo nella composizione una valenza al contrappunto (“The continuing story of the counterpoint”).
Il più importante e influente minimalista è La Monte Young che con un disco di quasi cinque ore “A Well Tuned Piano”, ricostruisce l’accordatura del pianoforte in modo da ottenere la just intonation. Questa composizione in cinque parti, ripetitiva, ossessiva, dichiara apertamente il suo amore per la musica concepita come organismo vivente: dallo strumento escono note che sembrano “stonate” alle nostre orecchie abituate alla convenzione dei 12 toni, ma che fanno muovere il musicista e l’ascoltatore in un mondo musicale realmente diverso. Questa presunta “stonatura” dà luogo a continui cambiamenti nell’armonia e nei timbri e “costringe” il suo esecutore a rincorrerli con altre note o accordi che possano adeguarsi: il processo così va avanti, si evolve continuamente al pari degli organismi viventi e dà all’ascoltatore un senso di ipnosi. (e qui si nota come il fine musicale è parente di quei filoni musicali orientali).
Un seguace dei nostri giorni di La Monte Young è Michael Harrison, il quale ha costruito pianoforti secondo un proprio metodo frutto dell’evoluzione di quello del suo maestro: la “pure intonation” ottenuta con un “harmonic piano” cioè un grand piano che offre la possibilità di suonare su un ottava fatta di 24 note.
Un’altra innovazione sta nel “phasing” ed è dovuta a Steve Reich: il phasing è l’uso non sincronizzato di due suoni in maniera che l’uno segue l’altro; il processo applicato alle combinazioni non suolo di suoni ma anche dei ritmi e delle melodie produce un effetto reiterativo impressionante.
Il violinista Tony Conrad e la sua allieva, la fisarmonicista Pauline Oliveros sono invece i fautori della “deep listening“: utilizzando anch’essi la just intonation, tendono a far emergere gli effetti di risonanza o di riverbero che possono venir fuori da spazi particolari come le cave, gli interni delle cattedrali, enormi sotteranei (cisterne). In particolare la Oliveros si distingue anche per la “sonic awareness” ossia l’abilità a concentrare l’attenzione sui suoni musicali, cercando di trarre dai suoni implicazioni terapeutiche, come descrive l’autrice nella sua teoria una sintesi della psicologia dei flussi della coscienza. Tra i discepoli della “deep listening” troviamo anche Ellen Fullman, che è famosa per essere riuscita a comporre con il “long string instrument“, uno strumento musicale accordato in just intonation, dotato di due lunghi bracci di corde di circa 300 metri che emettono suono risonante al loro sfioramento: la Fullman suona camminando in mezzo a questo flusso di onde sonore cercando di esplorare il moto vibratorio longitudinale delle corde.
Importante è anche il contributo innovativo dato da Harold Budd, che da sempre aveva avvertito l’esigenza di dare un contenuto archittetonico alla composizione musicale: gli spartiti devono avere un bell’aspetto, anzi venivano giudicati in base a questo, la composizione doveva essere modulare, cioè poteva essere “inscatolata” e unita ad altre in modo compatibile.
I movimenti post-minimalisti hanno, non solo provveduto a recepire le istanze rinvenienti da altri generi musicali, ma anche ad effettuare particolare operazioni sul timbro degli strumenti e sui processi armonici da essi generati. Quest’ultimo movimento, chiamato con molte definizioni “massimalismo”, “totalismo”, ecc. studia a fondo la scala naturale armonica e gli ipertoni (o sovratoni) emessi dagli strumenti a corda e dai fiati.
Helmholtz, fisico tedesco dell’800 che sviluppò una teoria per spiegare le relazioni tra timbri e sovratoni, aveva stratificato i processi armonici e aveva scoperto che la sostanza del suono veniva dalla prima armonica, la seconda gli dava limpidezza, la sesta e l’ottava lo rendono squillante, la settima e la nona lo inaspriscono. La serie degli armonici naturali prevede poi che il 7-11-14 armonico sono calanti e il 13 è crescente dove il suono principale è il Do: questa fondamentale scoperta favorisce il loro uso da parte di molti chitarristi minimalisti per avere particolare enfasi nel suono, basterà che gli stessi scoprano le tantissime armoniche presenti su loro strumenti. Bisogna tener presente che a differenza del pianoforte ove il suono è secco e non produce armoniche esatte, nelle chitarre o nei violini le frequenze sono nettamente udibili e piene di ipertoni. (il violoncello ad esempio ne ha più di 10); sebbene in modi diversi, anche gli ottoni possiedono alcune armoniche. Tra i massimalisti più innovativi che hanno sperimentato sugli ipertoni troviamo Glenn Branca, Rhys Chatam (specializzati nei sovratoni delle chitarre) e Arnold Dreyblatt (specializzato nei sovratoni dei violini).
A proposito dei timbri, una brillante scoperta è stata effettuata da Gyorgy Ligeti e (ripresa anche da Stockhausen), che è riuscito a far emergere un nuovo concetto di polifonia vocale. La”micropolifonia” è una tecnica compositiva nella quale almeno dieci esecutori eseguono la propria parte in modo distinto da quella di altri dieci, in modo da creare degli effetti particolari: le armonie non cambiano improvvisamente, ma si mescolano lentamente l’una con l’altra: questi effetti si possono apprezzare pienamente nel brano “Lux Aeterna” che è un perfetto caleidoscopio di continue e singole figure polifoniche che si addensano in un meraviglioso amalgama.
da : ettoregarzia.blogspot.com